Piccole considerazioni sull’intelligenza artificiale di un “informatico” boomer.

Definizione

Cito Wikipedia:

L’intelligenza artificiale è una disciplina che studia se e in che modo si possano realizzare sistemi informatici intelligenti in grado di simulare la capacità e il comportamento del pensiero umano.

Argomento del momento è l’I.A. – acronimo di Intelligenza Artificiale – grazie a ChatGPT, uno dei prodotti di OpenAI che definisce se stessa: “OpenAI è una società di ricerca e implementazione dell’IA. La nostra missione è garantire che l’intelligenza generale artificiale vada a beneficio di tutta l’umanità.”.
Vedremo.

Il mito dell’Intelligenza Artificiale e la fonte delle nostre paure verso di essa.

L’A.I. Intelligenza Artificiale, anzi, I.A. – la versione inglese Artificial Intelligence – è già stato famoso in passato nella fantascienza, che spesso anticipa il futuro. Lo abbiamo trovato in film come: A.I. – Intelligenza Artificiale di Steven Spielberg del 2001; Matrix dei fratelli Wachowski, 2001 Odissea nello spazio di Stanley Kubrick, Terminator diretto da James Cameron e molti altri quasi tutti film tratti da libri andando molto indietro nel tempo prima di Internet e anche prima dell’informatizzazione di massa.

Quale è il denominatore comune di questa cultura? la paura della presa di coscienza di se stessa. Cartesio la definì in latino “cogito ergo sum”: penso, dunque sono. In questi scenari di fantasia l’Intelligenza Artificiale si è sempre rivelata un pericolo per gli esseri umani e questo probabilmente induce ad atteggiamenti conflittuali in merito a essa.

In realtà la I.A. come la intendiamo è presente da parecchio nell’ambito informatico. Ed è attribuibile a molte funzionalità. Genera testi, immagini, video, fornisce informazioni.
Volendo essere semplicistici attribuiamo come Intelligenza Artificiale la capacità di eseguire operazioni che fino a poco tempo fa erano eseguibili solo da umani.

Facciamo un esempio: remove.bg è un tool che rimuove lo sfondo da immagini e mantiene il soggetto. Attività banale per un cervello umano che vede un’immagine e coglie immediatamente questa differenza ma per un software non è così banale. Effettivamente è stupefacente la capacità e velocità con cui esegue questa operazione. Stupisce anche la qualità del risultato dato che un grafico professionista dotato di software di fotoritocco impiegherebbe parecchio tempo per ottenere lo stesso effetto. Talmente stupefacente che l’abbiamo chiamata I.A.

Non dovrebbe stupire però la loro comparsa, dopo gli assistenti virtuali e i motori di ricerca sempre più performanti, l’Intelligenza Artificiale è solo una normale evoluzione. Quello che stupisce è il fenomeno mediatico scatenato da ChatGPT, visto che, come ho già scritto molti tipi di A.I. erano già esistenti. Forse erano circoscritte agli “addetti ai lavori”.

Chiariamo subito un punto le A.I. attuali non sono in grado di avere consapevolezza di esistere, non distinguono il bene dal male. Possono essere indotte in errore o in contraddizione se l’umano con cui interagiscono ha questa intenzione. Altrimenti possono essere un potente strumento di lavoro. Nel caso delle chat (conversazioni) con le A.I, esse sono veloci a comprendere il linguaggio naturale umano, sono veloci ad assemblare le risposte a quesiti anche complessi e a renderli comprensibili. Memorizzano le informazioni di una conversazione pertanto riescono a essere sempre più precise nelle risposte e questo è stupefacente ma non è Intelligenza.

Facciamo un altro esempio: se io chiedessi a un esperto come si costruisce una bomba, quest’ultimo quasi sicuramente mi chiederebbe per quale ragione glielo chiedo. Una I.A., se non opportunamente “filtrata”, mi darebbe la risposta migliore possibile.
A questo punto nasce una necessità che è già stata presa in considerazione ovvero l’etica dell’intelligenza artificiale.

L’etica dell’intelligenza artificiale avrà un compito arduo. Quello di imporre delle regole. Regole per l’A.I. e regole per gli utenti dell’A.I.
I cosiddetti “filtri” che dovranno, su molti fronti, controllare che questi strumenti osservino delle regole.

Questo argomento è già stato affrontato nel 1942 dallo scrittore Isaac Asimov – molti scrittori di fantascienza erano e sono scienziati – che ha formulato le tre leggi della robotica che regolano il funzionamento del “cervello” dei robot.
Le leggi sono le seguenti:
1.Un robot non può recare danno agli esseri umani, né può permettere che, a causa del suo mancato intervento, gli esseri umani ricevano danno.
2.Un robot deve obbedire agli ordini impartiti dagli esseri umani, tranne nel caso che tali ordini contrastino con la Prima Legge.
3.Un robot deve salvaguardare la propria esistenza, purché ciò non contrasti con la Prima e la Seconda Legge.

Ma altre questioni si sono aperte con questa nuova tecnologia, come difendere il diritto d’autore, il diritto d’immagine, come difendersi da fake news, come distinguere un testo generato da un umano da quello generato da una I.A. e molte altre.

Siamo solo all’inizio.